Mario De Micheli

Aurelio è un pittore di natura energica e d’incalzante immaginazione. Di fronte all’esigenza di una comunicazione diretta, efficace, immediata, non indietreggia. Egli mette generosamente a repentaglio se stesso e in qualche modo persino la sua arte. Una volta è andato in un circolo popolare, attaccando ai muri un gruppo di tele non finite. Poi per più giorni di seguito, ogni sera, ogni domenica, si è messo a ultimarle in mezzo alla gente, agli uomini e alle donne del rione, discutendo con loro, ascoltando le loro osservazioni. Forse si trattò più di un atto di poetica che di poesia, ma comunque di un atto che rivela come Aurelio sia capace di seguire la logica delle sue idee e delle sue passioni. Dove può dunque giungere con tale impeto e con tali convinzioni?

Sino a qualche tempo fa egli dipingeva la città: rutilanti strutture rosso-azzurre, scenografie in profondità, teatro tecnologico di una cronaca allucinante. Le dipingeva con lame di colore tranciante, con fulminea e guizzante maniera, con improvvise incandescenze. Poi, fra le tele di crudeli e abbaglianti luci urbane, fra le quinte geometriche dell’ambiente oppressivo, è apparso un simbolo di contestazione: il pugno dalle dita moltiplicate che stringe il coltello. Per più di un aspetto, quel pugno è uscito dal furore di «Guernica»: anche in «Guernica», infatti, il pugno dipinto da Picasso tra le zampe del cavallo, è un pugno con più di cinque dita. Ma nel pugno di Aurelio quelle dita hanno proliferato. Un pugno brulicante di dita! E l’iperbole è evidente. Il procedimento è lo stesso di Siqueiros quando moltiplica le braccia di Cuantemoc, l’eroe della lotta contro i “conquistatores”, per rappresentare in una sola figura la moltitudine popolare.

E’ raro trovare un pittore che più di Aurelio avverta l’esigenza d’inventare immagini trasmissibili, simboli collettivi, emblemi ideali e ideologici. Un occhio attento non si farà ingannare: dietro le sue sintesi più esplicite, più lampanti, leggerà senz’altro una folta presenza di esperienze plastiche, filtrate con spregiudicato ma consapevole intento, prima fra tutte l’esperienza surrealistica; leggerà una perizia sorprendente, una cultura figurativa consumatissima, una sicurezza che può solo nascere da un lungo, iterato esercizio; e leggerà la sottile capacità di sottrarre il simbolo al sogno per restituirlo alla realtà.

Alle spalle di Aurelio c’è quindi un itinerario già ricco di prove e di risultati, un itinerario che l’ha portato in giro per il mondo a saggiare le sue forze, a misurare le sue qualità di uomo e d’artista in un dibattito culturale tuttora in corso, senza timore di correre rischi, di giocare la propria sorte. La sua inquietudine è attiva, traboccante: oggi come ieri. Nello scontro con la realtà egli non ha paura di sbucciarsi le mani. E questo è quello che conta. Per conto mio sarei felice se un giorno potesse invadere la pìù vasta superficie di un muro con le sue immagini espansive e incombenti. Sarebbe un’impresa che finalmente lo metterebbe a suo agio.  Una pittura ferma, leggera e compatta insieme, senza ridondanze e sbavature, ma al tempo stesso brillante di un colore che è sempre traslato, esso stesso immagine dentro l’immagine, vivo nell’invenzione dialettica generale in cui il tema si risolve: ecco quali sono i caratteri stilistici di questa pittura.
Ma vorrei sottolineare ancora un fatto. Aurelio non dipinge delle “idee”.I suoi quadri non sono allegorie… Un uomo è un uomo, un fiore è un fiore, ma al tempo stesso sono umanità e natura.Nei momenti più acuti del suo discorso plastico è questa, appunto, l’evidenza che Aurelio sa cogliere con straordinaria sicurezza.